Il dogma del suffragio universale. Messina: Occorre trovare la via giusta per correggere il vuoto di cultura che vota gli incapaci e rende vulnerabile la democrazia

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di Giovanni Messina – Se non fosse richiesta alcuna competenza per governare e per scegliere chi deve governare, il suffragio universale risulterebbe inutile. La scelta più intelligente sarebbe quella di ricorrere al sorteggio dei candidati, non solo perché più economica, visto che una tornata elettorale costa oltre 400 milioni di euro, ma anche perché più giusta, dal momento che tutti i candidati starebbero veramente sullo stesso piano, laddove alle elezioni – lo sappiamo bene – a fare la differenza sono più i finanziamenti e la visibilità sociale rispetto alle idee propugnate o al valore della persona.


Se invece una competenza è richiesta, come è più ragionevole supporre, il suffragio universale è illogico. La scelta di buoni amministratori pubblici dovrebbe essere affidata a persone competenti, come accade in qualsiasi altro campo. Consegnare il potere di decidere dei destini della collettività anche a persone prive di ogni cognizione, infatti, implica la concreta possibilità di eleggere rappresentanti incompetenti, con tutte le spiacevoli conseguenze che possono derivare dal mettere una persona inadeguata in un posto di responsabilità.


Tutto ciò, ragionando a tavolino. Nella realtà le cose non sono così semplici. Per uno di quegli arcani fenomeni ricorrenti nella storia umana, alcune idee o teorie vengono accettate come verità indiscutibili dalla maggioranza a dispetto degli argomenti che le inficiano. Viene in mente il caso emblematico di Galileo. Certo, nella fattispecie non c’è da temere la severità dell’Inquisizione, ma nell’andare controcorrente la reputazione rischia comunque di uscirne con qualche ammaccatura.


Il tema fu ben fotografato da Gustave Le Bon: “Il dogma del suffragio universale possiede oggi il potere della cristianità dogmatica”. A distanza di oltre un secolo, il dogma si è ancor più rafforzato: esso è ritenuto ovunque in Occidente come l’idea più scontata e incontestabile del mondo.


Stando così le cose, ogni critica al suffragio universale tende a replicare sempre lo stesso schema: alle osservazioni sulle incongruenze del suo funzionamento si risponde con i principi e i valori di cui esso è espressione e garanzia. In sostanza, si dice il suffragio universale non funziona; si risponde il suffragio universale è il sistema più giusto. Niente di strano quindi se le discussioni finiscano per arenarsi, come se a fronteggiarsi fossero due prospettive inconciliabili. In realtà, non sono le due prospettive a essere inconciliabili, quanto i due piani del ragionamento.

Mentre l’uno si sofferma sul funzionamento del suffragio universale, evidenziando l’incompetenza e la vulnerabilità dell’elettore, l’altro ne ribadisce la dimensione valoriale, per cui ogni proposta di sua limitazione viene letta come limitazione del diritto di esprimersi e quindi “antidemocratica” tout court.


Ora, è chiaro che sul piano dei principi il suffragio universale sia inattaccabile. Ma dire che non funziona non significa dire che sia ingiusto. Che tutti i cittadini possano contribuire a decidere i destini della collettività è un’affermazione che ha il suo fondamento nel principio di uguaglianza e che dunque nessuno può contestare. Il punto è un altro: si tratta di stabilire in che misura i principi migliori possano tramutarsi nella forma di governo migliore.


Ho letto Contro la democrazia di Jason Brennan. Trecento pagine scritte in tono quasi divulgativo, a tratti accattivante, con esempi fantasiosi o anche molto fantasiosi, nelle quali l’autore prende di mira proprio l’efficacia del suffragio universale. Forse, per evitare il riprodursi dello schema di cui si diceva sopra, avrebbe fatto bene a mettere in epigrafe la premessa enunciata da Machiavelli nel XV capitolo del Principe: “Dovendo parlare di cosa utile mi è sembrato più conveniente andare dietro la verità effettuale della cosa che all’immaginazione di essa.”


Le critiche rivolte al libro, a cominciare da quelle implicite contenute nella premessa di Cassese e nel saggio introduttivo di De Mucci, infatti, ripropongono lo stesso schema.


L’epistocrazia può correggere, non sostituire il suffragio universale, scrive Cassese, “salvo tornare al suffragio limitato per livello di istruzione”. Privilegiando i knowers, si domanda De Mucci, “non si finirebbe per privilegiare ancora di più i già privilegiati, coloro che hanno maggiori opportunità culturali ed economiche per istruirsi?”.

In entrambe le osservazioni l’idea del sistema più giusto precede quella del più utile, basandosi su considerazioni di principio. Si fa riferimento, infatti, a un’astratta uguaglianza formale, quella garantita dal diritto di voto, ma nella realtà epistocrazia o suffragio universale, per l’elettore non istruito cambia poco.

Se in un caso non vota, nell’altro può essere facilmente “guidato” o addirittura votare contro i suoi stessi interessi. Allora la questione non dovrebbe essere epistocrazia/suffragio universale, bensì in che modo correggere quelle diseguaglianze che limitano le opportunità culturali ed economiche per istruirsi.

Questione che non si risolve con l’attribuzione del diritto di voto, visto che la penalizzazione culturale ed economica si esprimerà in maniera ben più grave nell’impossibilità di accedere a determinate professioni o di intraprendere determinate carriere.


Ma il libro di Brennan segue il piano della “verità effettuale”, e lo fa in maniera che si potrebbe definire geometrica, affrontando analiticamente tutti gli aspetti della questione e passando in rassegna le tesi a sostegno del suffragio universale, nonché portando una vasta gamma di riferimenti statistici a dimostrazione di quanto sbalorditiva sia l’ignoranza della maggioranza del corpo elettorale.


Mi vorrei soffermare solo su uno degli aspetti affrontati nel libro, quello che l’autore chiama l’argomento semiotico, includendo in esso quelle tesi che la democrazia difendono per il suo valore simbolico. Democrazia e suffragio universale sarebbero, cioè, simbolo e dimostrazione di uguaglianza.


L’argomento semiotico mi sembra il più significativo proprio perché rivelatore di quell’approccio dogmatico di cui parlava Le Bon. In sostanza, anche se l’epistocrazia o una qualche forma di limitazione del suffragio universale desse risultati efficaci, secondo tali tesi sarebbe comunque ingiusta e non preferibile alla democrazia per ragioni etiche, perché significherebbe considerare il giudizio di alcuni più attendibile rispetto a quello di altri, e ciò sarebbe immorale.

Uno dei filosofi della politica citati da Brennan sostiene addirittura che il valore della democrazia consiste nel garantire l’autostima dei cittadini e che privare alcuni del diritto di voto significherebbe ledere la loro immagine e quindi la fiducia in se stessi.


Se fosse possibile portare la questione su un piano puramente razionale, si potrebbero fare innumerevoli osservazioni. Si potrebbe dire che anche non conseguire la patente o essere bocciati all’esame di anatomia può ledere l’immagine e la fiducia in se stessi, ma non perciò si aboliscono gli esami di guida e gli esami universitari; si potrebbe chiedere perché nessun difensore della democrazia e del suffragio universale si sogni di applicare questa idea all’organizzazione militare o a quella dei ministeri; ecc.


Ma fintanto che criticare il funzionamento della democrazia e del suffragio universale si configura come lesa maestà, si capisce che ciò non è possibile. Nemmeno le argomentazioni più evidenti e indiscutibili potrebbero scalfire il dogma. Non basterebbero a far passare il concetto che la funzione di una forma di governo moderno dovrebbe essere quella di garantire l’uguaglianza nella sostanza, non testimoniarla simbolicamente.


Rimane la consapevolezza di come la discussione su democrazia e suffragio universale sia rivelatrice di quanto tortuose e faticose siano spesso le strade del progresso umano, se cinque secoli dopo Machiavelli la riflessione sulla migliore forma di governo più che sulla verità effettuale della cosa si basi sull’immaginazione di essa.

Redazione

La Redazione - L’Epistocratico è il periodico dell’associazione Epistocrazia, che nasce a Milano nel 2019.
I soci fondatori, cittadini, liberi professionisti, hanno sentito la necessità di riportare al centro del dibattito, come requisiti base per una società ben governata ed eletta in modo consapevole, la competenza e la conoscenza.

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