di Luca Cappellini – Utilizzare temi d’attualità per alimentare le paure, infiammando il tifo e massimizzare i propri consensi, non nobilita l’attività politica. Ma utilizzare in maniera populista tematiche etiche e contenuti storici, distorcendo la realtà, certifica nel peggiore dei modi la non attitudine a gestire la cosa (e l’opinione) pubblica da parte del politico nostrano.
Non è una novità il pessimo uso che si è fatto della storia nel dibattito pubblico. In passato si è riusciti ad utilizzare i fatti storici quasi unicamente per lo scontro tra tifoserie di destra e sinistra. Oggi questa deriva è peggiorata a causa della risonanza data dagli slogan sui social e dalle urla nei talk show, dove la voce di chi è preparato ha a disposizione gli stessi spazi di chi è ignorante o fazioso.
Anche nel campo storico si dovrebbe ascoltare la voce di chi ha le competenze e la preparazione in grado di analizzare e spiegare i fatti del nostro paese. Si sentono invece solo le urla di chi utilizza la storia a fini propagandistici che comunica alla pancia dell’elettore e non alla testa del cittadino.
Prendiamo i due esempi più significativi dell’uso populistico della storia del nostro paese: la giornata della memoria e la giornata del ricordo.
Per commemorare le vittime dell’Olocausto, l’Italia ha deciso di far coincidere la giornata della memoria con il 27 gennaio, come quel giorno del 1945 in cui le truppe sovietiche entrarono nel campo di concentramento di Auschwitz, liberando i pochi sopravvissuti e rivelando al mondo quanto in basso possano arrivare le azioni degli “uomini”.
Si poteva far coincidere questa giornata con altre date, ad esempio il 16 ottobre, giornata in cui nel 1943 avvenne il rastrellamento del ghetto di Roma, scelta che avrebbe sottolineato maggiormente le responsabilità italiane per le persecuzioni e lo sterminio. Fissando sul calendario il 27 gennaio, è stato deciso di spostare il luogo della memoria fuori dai confini italiani cercando di mantenere al di fuori di essi anche le nostre responsabilità: con un carro armato russo che entra in un campo di concentramento gestito da tedeschi in territorio polacco, l’Italia e le responsabilità del fascismo si dissolvono.
La giornata del ricordo viene celebrata il 10 febbraio in occasione della commemorazione delle vittime delle foibe e dell’esodo giuliano dalmata. Potevano essere scelte alcune date comprese tra l’autunno 1943 e il maggio 1945, periodo in cui persero la vita circa 5000 persone nelle foibe. Anche in questo caso si decise di uscire dai confini e cambiare data. Venne presa Parigi nel 1947 dove il 10 febbraio venne firmato il trattato di pace e la fine delle ostilità. Anche la giornata del ricordo non c’entra nulla con i fatti accaduti sul nostro confine orientale. Si dissolvono anche qui le responsabilità dei carnefici spostando la scelta della data al di fuori dei nostri confini.
Date non puntuali e confini traslati consentono a queste due giornate di poter essere utilizzate per i propri interessi populistici per screditare l’avversario politico e per aumentare il proprio tifo, in base all’obiettivo del momento.
Sono molte altre le date che si prestano ad un revisionismo storico. Ultimamente i fatti di via Rasella e delle Fosse Ardeatine sono stati utilizzati in maniera poco elegante da politici di primo piano e hanno creato distorsioni nei luoghi di aggregazione moderni: i social e nei media. Qui come in osteria dove tutti hanno diritto di parola senza considerare il tasso alcolemico (e il curriculum) di chi commenta la notizia del giorno, ognuno ha avuto il suo spazio per dare la propria versione in base a quello che era il tifo della propria parte politica.
Lo storico Davide Conti, che ha descritto nel suo saggio “Sull’uso pubblico della storia” l’elenco delle commemorazioni dei maggiori fatti storici italiani e il pessimo uso che ne abbiamo fatto, modificando date e luoghi per coprire la vergogna di questa e quella parte politica, ci da un avvertimento: entrando in una stanza e trovando due bambini che piangono la morte dei loro rispettivi padri, uno nazista e uno partigiano, da storici (o anche da interessati alla storia) che affrontano il tema con atteggiamento scientifico non dovremmo farci coinvolgere dall’emotività.
Questo ci trascinerebbe in un revisionismo. Sarebbe sbagliando affrontare il tema pensando a chi viene pianto e che ora è sotto terra, mentre dovremmo essere lucidi e valutare cosa hanno realmente fatto nazisti o partigiani quando erano in vita. Così non rischiamo di confondere e invertire il carnefice con la vittima.
Nel nostro paese abbiamo anche un problema tra storia e memoria in quanto siamo condizionati dalla mancanza di una Norimberga italiana. Nel 1947 alle prese con la guerra fredda, l’alleanza atlantica scoprì nella Russia un nuovo nemico e per questo non si ritenne utile sostituire e processare i molti funzionari pubblici, i responsabili delle forze armate e chi apparteneva ai vertici degli apparati di pubblica sicurezza, oltre 1000 persone che avevano avuto una crescita professionale durante il fascismo con altrettanti socialisti e comunisti, possibili amici della stessa Russia ora in contrapposizione. Una situazione delicata, l’Italia stava affrontando i conti con fratture profonde del suo recente passato, dove non bisogna dimenticare che il fascismo ha avuto nel ventennio un grande consenso popolare. Spostare date e luoghi per ricordare i fatti, provare a fare i conti con la storia evitando le divisioni ha prodotto ulteriori fratture che arrivano a pesare ancora ai giorni nostri come dimostrano le polemiche e le divisioni dovute alle riletture sulla storia di questi ultimi giorni.
La politica e l’opinione pubblica hanno bisogno anche in questo campo dell’epistocrazia. Nel campo della storia è necessario che siano gli storici che spieghino agli elettori i fatti con la loro scientifica preparazione. E’ necessario che i buoni politici diano valore a chi è preparato e consenta di sviluppare nel dibattito pubblico lo spazio per dare spiegazioni al pubblico e agli elettori sui fatti del passato. Così potremo avere qualche speranza che non si ripetano gli stessi errori.
Anche sui fatti storici il richiamo a ricevere consensi, a contare i like sotto un post scritto sul divano dal politico di turno e ritwittato dal tifoso con una frase d’effetto di facile comprensione ad un pubblico incolto e disinteressato, è troppo forte e non costa nulla. Si racimolerebbero in proporzione pochi voti con un impegnativo dibattito coinvolgendo preparati storici e filosofi con costosi eventi e pubblicazioni (e post con pochissimi like ma di qualità).
Non dobbiamo scoraggiarci nel percorrere la difficile strada dove è vietato utilizzare per fini populistici le “giornate” che scandiscono l’anno istituzionale. Nel nostro piccolo rilanciamo anche in questo campo chi ne sa più di noi, ascoltiamo e seguiamo gli storici e faticosamente, ma con orgoglio, iniziamo a fare i primi passi di questa salita percorribile solo da apprendisti epistocratici.