di Stefania Piazzo – Quando gli amici dell’associazione Epistocrazia mi hanno chiesto di mettere la firma a questo periodico di analisi politica, ho detto di sì. Non perché avessi più tempo, né perché ambissi a chissà quale visibilità. L’ho fatto perché trovare persone che ancora credono nella cultura come strumento di cambiamento è raro. Il ragionamento è un gene regressivo, in questo Paese. Comprendere il valore delle professioni pure. Figuriamoci i requisiti per esercitarle.
Ecco, si fa prima a spiegare cosa non è l’epistocrazia che non a ribadire che è il governo dei competenti, scelti da elettori competenti. A furia di parlare di conoscenza e competenza, svalutiamo anche questi termini e annoiamo a morte i lettori. Una volta che abbiamo esaurito la lettura degli articoli che proponiamo da oggi, il mio più grande invito all’associazione e a chi desideri affrontare il problema di una classe dirigente da ri-formare, è calare la questione dell’essere le persone al posto giusto nei fatti di tutti i giorni. Una volta compreso chi sono i vulcaniani, gli hooligans e altre categorie, passiamo ad altro. Usiamo il cannone delle parole per irrompere nei neuroni stanchi della gente. Rialziamo con orgoglio la bandiera di saper fare qualcosa, alternativa ai deboli di mente.
Il primo luogo è la scuola. Insegnare è una missione per talentuosi, non per imboscati. E infatti dai e dai si è riusciti ad alzare il grado di analfabetismo di andata e di ritorno. Educare è il vuoto da colmare.
L’altro luogo, a parimerito, è la famiglia.
Il terzo, mi permetto di dire, sono, o dovrebbero essere, gli ordini professionali. Gli esami di Stato non garantiscono la qualità della selezione. Né le università e le scuole secondarie selezionano i professionisti capaci di leggere e scrivere in italiano.
Basterebbe questo, come primo passo per promuovere l’epistocrazia. Saper scrivere. Fare sintesi. Articolare una frase di senso compiuto. Imparare a sostenere una conversazione. Se hai questi strumenti, puoi costruire. Diversamente, sei un demolitore professionista.
Ci chiedono in modo compulsivo alcune competenze social, soprattutto informatiche, declinate alla comunicazione a morsi.
Il match, il claim, il pad, il linguaggio del marketing che copre il vuoto di contenuti e di senso, oggi sovrasta anche la mia professione. Se non parli così, sei indietro. Resti indietro. Sei un perdente.
Ha più peso un social media manager, indispensabile per stare sul mercato, che un copy, uno che crea i contenuti. “Uno che”…. L’indeterminativo dice che la percezione della fatica del pensare ed elaborare, e della strada per arrivarci, si sta sfarinando nel tempo delle professioni che pronunci solo in inglese, altrimenti non sei quasi nessuno. E nessuno stiamo diventando nei luoghi delle decisioni, delle strategie.
Mi sento fuori moda, fuori posto, ma so che, tutto sommato, un copy, quando è toccato nel vivo, è pericoloso più di un reel. Tradotto: capire come pensare e come dirlo è più strategico che mettere a manetta sul telefonino un video tuo o di qualcuno. Detto così, ti fa capire in che autostrada stiamo camminando. L’Epistocratico è una area di sosta, dove bevi, ti rinfreschi, prima di riattraversare con le scorte terreni incolti.
Foto di Sandra Gabriel
Ho sostato, bevuto, mi sono rinfrescata ed ora con le scorte riattraverso terreni incolti ….
Grazie
Vilma