di Stefania Piazzo – Tutto ti aspetteresti da un governo della sovranità nazionale, del liceo del made in Italy, del chilometro zero, della difesa del filo d’erba in giardino purché da seme italiano, tranne che una abdicazione olimpica dopo tanta fatica a conquistare la Milano-Cortina edizione invernale 2026.
Se si può fare il ponte sullo Stretto, perché non si possono realizzare per una olimpiade, per una volta in Italia, le piste da bob, skeleton o altro? Se sopportiamo la quinta corsia sulla Milano-Laghi, per parecchi chilometri, celebrandola (giustamente) come una conquista, perché non possiamo fare una corsia da slittino sulle montagne, tranne poi dire che sono abbandonate, che non c’è turismo, che non ci va più nessuno, che ci sono le frane perché ci si dimentica di fare manutenzione?
Per una volta che la montagna tornava ad essere al centro di un progetto, eh niente, a vincere è il “dopo chi ci andrà?” e il rapporto magico “costi-benefici”.
Abbiamo infestato per decenni le valli di impianti di risalita, disboscato, disseminato di tralicci i profili delle dolomiti, ma per le Olimpiadi 2026 è vietato toccare un sasso. Meglio restare fermi e portare le gare all’estero. Che ringrazia per la miopia italiana. Che le olimpiadi potessero essere rubricate nella categoria export è una novità. Esportare, cedere a quelli più bravi un nostro successo. Una follia.
Uno studio, per quanto non recente, di Confcommercio, aveva calcolato nel 2019 un indotto diretto e indiretto di lavoro per 490mila microimprese familiari, generato dall’evento. Ma in questo paese non si va oltre il presente e il consenso delle elezioni più prossime.
L’altro giorno l’amico epistocratico Luigi Negri mi propone questa riflessione. E io la condivido subito con i nostri lettori.
“Nel 1946, in un’Italia ancora sotto le macerie, venne presentata la candidatura di Cortina per le Olimpiadi invernali. Le vennero assegnate nel 1949. Si celebrarono nel 1956 con grande successo. E furono poi il preludio, il trampolino, alle olimpiadi estive del 1960 a Roma, che hanno consacrato il boom e l’affermazione economica del Paese”.
Dove sta il punto, cosa ha fatto la differenza tra uno Stato giovane ed uno bolso come quello di oggi? Luigi lo spiega bene in poche parole: “Allora c’era una classe dirigente di alto livello, di persone capaci e preparate, epistocratiche. Che guardavano lontano. Che vedevano le cose in prospettiva. Esattamente quello che deve fare un politico, anziché lavorare per le elezioni tra tre mesi, per “monetizzare” ciò che più gli interessa”.
Chiaro, il concetto? In altre parole, da una parte le Olimpiadi, dall’altra quelle di miocuggino. E se chiedi di Olimpia, sicuro ti rispondono che è la squadra di basket.
Approfittando dell’ospitalità epistocratica, invito i lettori a considerare che in Grecia le attività sportive erano spesso accompagnate da competizioni musicali e poetiche. Erano cultura.
Tra le preziose testimonianze che ci arrivano dal mondo ellenico, mi piace ricordare gli inni delfici. Qui “Mastro Elia” si diverte a spiegarne l’origine. I giochi delfici, i nonni di quelli olimpici, erano panellenici.
I giochi delfici (o pitici) si disputavano ogni quattro anni al santuario di Apollo a Delfi. Da qui la ragione per cui gli inni fanno riferimento ad Apollo. Buon divertimento!
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