Caro Luca, perché mio nonno era epistocratico con la seconda elementare?

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di Stefania Piazzo – Quanto scrive Luca Cappellini su l’epistocratico, immortalando il sottovuoto delle generazioni degli ultimi 20-30 anni, il loro disimpegno e il loro distacco da tutto ciò che ci chiama a contribuire al bene comune, mi suscita una serie di considerazioni.

Il mio nonno paterno, Augusto, ho avuto la gioia di conoscerlo e viverlo fino ai 7 anni scarsi di età. Ma ne ho memoria vivissima e importante. Di lui ricordo i racconti della sua Africa, perché appartiene a quella generazione dei ragazzi del 99 che andarono a lavorare nelle colonie per dare un pezzo di pane alle famiglie rimaste in Italia. C’era la fame.

Quando scoppiò la guerra, fu subito chiamato alle armi e poco dopo, da falegname, si trovò con una divisa militare. Catturato dagli inglesi, passò anni di prigionia nel campo di concentramento in Sudafrica a Zonderwater, il più grande campo di concentramento alleato della seconda guerra. Ma “il diario del nonno”, che inizia con la sua partenza da Ponte di Barbarano, nel vicentino, per il fascio di Ugarò fino alla cattura, è sempre stato al centro della mia infanzia. Citato come qualcosa di prezioso, un cimelio di famiglia.

Ne sono venuta in possesso solo dieci anni fa. E così pure delle sue lettere dal campo alla moglie e ai figli. Ebbene, mio nonno aveva solo la seconda elementare. Faceva l’artigiano, ma sapeva scrivere. E bene. Catturava la lettura sin dalle prime righe, ti rapiva.

Non so quanti libri abbia letto, ma ha lasciato testimonianza di un linguaggio in italiano senza una sbavatura, un errore grammaticale, ricco di suggestioni, evocativo, divertente. Una scrittura intelligente. Lo chiamavano a fare i discorsi commemorativi durante le ricorrenze militari. Eppure allora, per buona parte della popolazione, l’istruzione era molto basica, saper leggere e scrivere. E basta. Il resto era sopravvivenza. Ti dovevi “ingegnare”.

Tutti i nonni si sono fermati alle elementari, ma la nonna paterna era andata un po’ oltre, ed era in grado di telegrafare (lo aveva fatto per le Regie Poste) e mi scriveva cartoline, ancora ottantenne, con messaggi in linguaggio morse. Non ho mai sentito nessuno di loro sbagliare la declinazione di un verbo. Andavano a votare, sempre, erano informati, leggevano, ascoltavano le tribune elettorali, avevano quel “senso dello Stato” e della comunità che li rende, oggi, ai miei occhi, “piccoli epistocratici”, cioè cittadini con la voglia di capire, lasciare un segno, e trasmettere la loro piccola eredità. Quello che oggi manca alle generazioni più fresche. O frescone!

Non era solo il desiderio di fare e dare qualcosa, cercando sempre di migliorarsi, anche da autodidatti, era qualcosa in più. Era stare insieme, nel “tinello”, a guardare il telegiornale e ragionare sulle cose che accadevano, era ascoltare il radiogiornale insieme. Essere informati accompagnava spesso il nostro pranzare o cenare insieme. Ascoltare e poi pensarci su.

Per quella generazione che era cresciuta senza la televisione, la radio era poi davvero uno strumento prezioso. E la scuola per noi figli o nipoti, doveva essere una cosa seria.

Anche mio padre dovette fermarsi alla quinta elementare. C’era la guerra. E il primo paio di scarpe lo acquistò, con piccoli risparmi, che aveva 12 anni. Usava le “sgulmare”, le scarpe di legno che solo Ermanno Olmi, nell’Albero degli zoccoli, ha saputo ergere a monumento di una civiltà complessa, sofferente, ma dignitosa nella propria epistocratica povertà.

Il mio papà studiò, da autodidatta, e andò a cercarsi le porte possibili per aprirsi una strada. Andò in pensione da ispettore capo, in polizia, e mi preparò per la parte di diritto penale all’esame di stato da giornalista. Tutte le settimane, in prefettura, teneva corsi di aggiornamento ai colleghi sulle sue materie di competenza.

Perché oggi i millennials o le generazioni Z non sono epistocratiche? Perché di ambire alla competenza non gliene importa più nulla o quasi? Perché non leggono i quotidiani, perché non sanno dove sia Gaza e chi sia Kennedy?

Perché le famiglie hanno abdicato al loro ruolo di educatrici, di formatrici, di vigili maestri? Perché la scuola promuove nonostante i “debiti”? Perché le insufficienze non diventano un momento di crescita, di presa di responsabilità ma vengono tradotte in un non è successo nulla? Perché un diploma superiore e una laurea non sono garanzia di competenza grammaticale? Perché gli insegnanti non trasmettono il sapere? Perché il rigore dei docenti è vissuto dalle famiglie come un abuso di potere?

Perché già nei nidi è richiesta la presenza di uno psicologo? Perché siamo diventati così disadattati e ignoranti, supponenti e indifferenti? Perché carta e calamaio formavano un cittadino e oggi, invece, non c’è il senso del proprio limite? E, quindi, neppure la necessità di superarlo?

Scale invertite di valori, la perdita del senso del “sacrificio” per raggiungere un obiettivo, sudato e conquistato, piuttosto che la fame di sapere, per migliorarsi… e sentirne il bisogno… Sono l’alfa e l’omega, la negazione o l’abnegazione per un’idea, per un progetto. L’applicazione è diventata un’app, simbolo di un approccio dove ogni cosa è semplificata e breve. Non si legge, si “scarica”. Abbiamo perso il callo della scrittura sulla falangetta del dito medio della mano destra, il callo si è spostato su quella del mignolo che fa da presa al cellulare.

Il progresso è indispensabile, ma nella meritocrazia, nella promozione di una classe dirigente che non va promossa a prescindere, fin dalla scuola degli analfabeti digitali, per evitare la fatica di bocciare e assumersi la responsabilità di veri educatori. I tg (per quanto imperfetti) e le letture dei giornali (per quanto faziosi) dovrebbero essere una materia di studio. Per ricordarsi in che era si vive e confrontarsi. Forse basterebbe una prova d’esame alla maturità: un test di lettura e uno di scrittura. E qualche domanda: che poteri ha il capo dello Stato? Cosa sono Camera e Senato? Chi fa le leggi? Che differenza c’è tra sindaco e prefetto? Qual è l’ultima volta che hai acquistato un giornale? Sembra poco? Non credo.

Redazione

La Redazione - L’Epistocratico è il periodico dell’associazione Epistocrazia, che nasce a Milano nel 2019.
I soci fondatori, cittadini, liberi professionisti, hanno sentito la necessità di riportare al centro del dibattito, come requisiti base per una società ben governata ed eletta in modo consapevole, la competenza e la conoscenza.

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